International Vegetarian Union | |
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Mohandas Gandhi (1869-1948) Esperimenti con la Verità Alcuni aspetti della vita e del pensiero del Mahatma Gandhi Da The Vegetarian, settembre/ottobre 1984, pubblicato da The Vegetarian Society UK: MOHANDAS GANDHI nacque nel 1869 a Porbandar, una città sulla costa della penisola del Kathiawar, nell’India occidentale; apparteneva ad una famiglia devota all’Induismo, e il vegetarismo era parte integrante della loro religione. Tuttavia, come riporta nella sua autobiografia, da giovane Gandhi cedette per breve tempo alla tentazione di mangiare carne. Un amico gli aveva assicurato che mangiare carne lo avrebbe reso forte e coraggioso, e i suoi compagni attribuivano la capacità degli inglesi di dominare l’India alla forza superiore che derivava dal regolare consumo di carne. La prima ribellione del giovane Gandhi, andato di nascosto con un suo amico a masticare un coriaceo pezzo di carne di capra, non fu esattamente un successo. In una mezza dozzina di altre occasioni il suo amico gli preparò dei piatti di carne più gustosi e Gandhi iniziò ad apprezzarli. In seguito fu sopraffatto dalla repulsione morale derivante dall’inganno che stava esercitando nei confronti dei suoi genitori, e decise di non mangiare più carne finché fossero stati in vita. In effetti questa fu la fine del suo consumo di carne perché, trascorso un po’ di tempo, quando la sua famiglia prese l’inattesa decisione di permettere a Mohandas di recarsi in Inghilterra per studiare legge, sua madre accettò di ritirare la sua ferma opposizione solo a patto che facesse solenne voto di astenersi dalla carne e dall’alcool mentre era lontano da casa. Gandhi prese questo voto molto seriamente e incontrò molte difficoltà per mangiare finché scoprì che a Londra esistevano dei ristoranti vegetariani e anche una Società Vegetariana, di cui diventò presto un membro entusiasta. La svolta decisiva Nel primo ristorante visitato Gandhi acquistò un’edizione economica del libro di Henry Salt "La giustificazione del vegetarismo". Leggerlo rappresentò la svolta decisiva. Fino a quel momento aveva evitato la carne in ossequio al suo voto; ora il libro di Salt lo aveva convinto della motivazione morale. “Da quando ho letto questo libro, posso dire di essere diventato vegetariano per scelta”. La ricerca di appagamento nella religione che avrebbe poi permeato la vita di Gandhi iniziò in Inghilterra, quando assieme ad amici teosofisti lesse La Canzone Celestiale, una traduzione della Bhagavadgita, e la Luce dell’Asia, che racconta la storia di Buddha. Attraverso altri amici prese conoscenza del Nuovo Testamento, rimanendo fortemente colpito dal Sermone della Montagna. Dopo aver adottato il vegetarismo con convinzione Gandhi iniziò la sua abitudine, poi durata tutta la vita, di fare esperimenti nell'alimentazione. A Londra, come ammise, questi erano dovuti a ragioni salutistiche ma anche economiche. Avendo per prima cosa rinunciato ai dolci e ai condimenti che gli venivano spediti da casa, prese a bere cioccolata al posto del tè e del caffè, e in seguito rinunciò alle uova e a tutti i piatti che le contenevano come ingredienti, in omaggio a quello che sapeva sarebbe stata la volontà di sua madre. Tuttavia, in un discorso che tenne alla Società Vegetariana di Londra alcuni anni dopo, nel 1931, consigliò i vegetariani di evitare di porre troppa enfasi sugli aspetti salutistici della loro alimentazione, a scapito dell’esposizione della sua reale base morale. Poco prima della sua morte questo pensiero era ancora ben presente in lui, quando alla riunione per la preghiera della sera disse: “Il modo giusto perché le persone diffondano il vegetarismo è quello di ragionare bene sui suoi pregi, che dovrebbero essere dimostrati nella propria vita. Non c’è nessun’altra strada maestra per raccogliere altre persone intorno al proprio punto di vista". Anche se Gandhi tornò in India nel 1891 con l’abilitazione alla professione di avvocato, non fu in grado di mettersi in affari come tale in patria. Così sfruttò un’offerta di lavoro in Sudafrica pervenutagli da una locale ditta mussulmana che aveva bisogno di un legale per seguire un caso piuttosto complesso a Pretoria. Là, dopo aver sofferto delle umiliazioni personali dovute a motivi razziali, Gandhi iniziò la sua lunga e prevalentemente vittoriosa rappresentanza dei suoi connazionali oppressi dalle leggi razziali del Natal e del Transvaal. Consapevolezza e Semplicità La sua diffidenza e incapacità di esprimersi sparirono e cominciò a mostrare il coraggio e la paziente fermezza nelle negoziazioni che lo avrebbero poi contraddistinto. Fu in quella lotta che sviluppò quella straordinaria resistenza non-violenta al male che chiamò Satyagraha (forza della Verità o forza dell’Amore). In complesso Gandhi trascorse ventinove anni in Sudafrica e durante quel periodo molto formativo riscoprì la religione dei suoi avi, sviluppando un apprezzamento critico dell’Induismo attraverso una conoscenza approfondita dei testi classici di quella religione. La Gita divenne per lui “un’infallibile guida di condotta”. Era giunto a rendersi conto che doveva trovare Dio attraverso il percorso del servizio devoto descritto nella Gita. “Se mi trovavo totalmente assorbito nel servizio alla comunità, la ragione sottostante era il mio desiderio di autorealizzazione. Avevo interiorizzato la religione del servizio, perché sentivo che si poteva arrivare a Dio solo attraverso il servizio”. Il non-attaccamento alle cose, e persino alla stessa vita, anch’esso imposto nella Gita, conferì a Gandhi la sua estrema serena impavidità, ed egli si persuase che per essere sempre libero di servire senza conflitto tra differenti doveri doveva imporsi, anche all’interno del matrimonio, la completa castità, che gli Induisti chiamano Brahmacharya. Dopo aver riflettuto profondamente su cosa ciò implicava, e con l’accordo di sua moglie, fece questo voto per la vita. Trovò in un’alimentazione semplice e attentamente selezionata un importante aiuto per mantenere la sua promessa: “Il digiuno e la restrizione nell’alimentazione ora ricoprivano un ruolo più importante nella mia vita. La passione nell’uomo generalmente coesiste con la brama per i piaceri del palato, ed era così anche per me”. Nella convinzione che “stimolasse passioni animali”, e anche perché era venuto a conoscenza delle pratiche crudeli usate per incrementare la produzione di latte delle mucche a Calcutta, rinunciò al latte. In quel momento comprese che la frutta fresca e le noci costituivano un’alimentazione ideale. Mentre stava compiendo questi progressi sulla via della consapevolezza religiosa e della semplicità di vita, Gandhi notò che la sua passione per il vegetarismo aumentava di pari passo con il suo desiderio di diffonderne il messaggio. Le due comunità con cui era in rapporti stretti in Sudafrica - l’insediamento Phoenix, e la successiva fattoria Tolstoy, un punto di incontro per i suoi discepoli nel Satyagraha, erano entrambe vegetariane, ed egli dava supporto e aiuto finanziario ai ristoranti vegetariani. In entrambi gli insediamenti, e anche nel successivo Ashram Sabarmati vicino a Ahmedabad, dopo il suo ritorno in India, i serpenti velenosi non venivano uccisi e tuttavia non si registrarono vittime da morsi di serpente. Gandhi aveva una spiccata diffidenza verso i medici e in caso di malattia preferiva curare se stesso e la sua famiglia con l’alimentazione e con cure naturali. Sia lui che la moglie, la paziente e saggia Kasturbai, furono messi alla prova dai medici che attribuivano una smodata importanza alla carne e al latte nelle cure che prescrivevano. Particolarmente memorabile è la risposta di Kasturbai che, quando le dissero che la sua vita sarebbe stata in grave pericolo a meno che avesse accettato di prendere del brodo di carne, rifiutò di farlo per profonde ragioni tradizionali: “Io non prenderò il brodo di carne. E’ un raro privilegio in questo mondo nascere come essere umano, e preferirei morire tra le vostre braccia piuttosto che contaminare il mio corpo con un simile abominio”. Gandhi fu spinto a prendere latte dai medici che lo curavano per la pleurite durante un suo breve soggiorno in Inghilterra nel 1914, ma il suo rifiuto fu totale. La stessa cosa accadde nel 1918, in occasione della sua più seria malattia, dovuta a dissenteria e febbre alta. Quella volta Kasturbai gli ricordò che la sua promessa riguardava il latte di mucca, e pertanto era certamente libero di prendere latte di capra. Con suo durevole rincrescimento Gandhi cedette e bevve latte di capra per il resto della sua vita. “Questa”, disse in seguito, “è stata la tragedia della mia vita”. Dopo il suo rientro in India nel 1914, malgrado le sue responsabilità politiche, Gandhi lavorò incessantemente per migliorare la qualità della vita della povera gente negli innumerevoli villaggi la cui esistenza voleva condividere. Le sue preoccupazioni erano la filatura del cotone e la produzione casalinga di tessuto, la pulizia e le misure igienico-sanitarie, il miglioramento della condizione femminile e specialmente l’abolizione del matrimonio tra bambini, la fine dell’intoccabilità. Provò anche a rendere più sostanziosa la povera alimentazione degli abitanti dei villaggi spiegando loro il maggior valore nutritivo del riso integrale, l’importanza della soia e i vantaggi delle verdure. L’etica di non danneggiare altre vite è parecchio differente dall’etica della cura compassionevole e può alle volte trovarsi in conflitto con quest’ultima, come successe a Gandhi. Per lui il comandamento induista dell’ahimsa (non-violenza) significava zelante attivismo, che egli dimostrò durante tutta la sua vita di servizio. Per esempio, scrisse della tutela delle mucche come l’evento centrale dell’Induismo: “La tutela delle mucche per me è uno dei più straordinari fenomeni nell’evoluzione umana. Porta l’essere umano oltre la sua specie. La mucca per me rappresenta l’intero mondo al di sotto dell’uomo. L’uomo attraverso la mucca è obbligato a rendersi conto della sua identità con tutte le altre forme di vita. La tutela delle mucche significa la tutela di tutta la silente creazione di Dio”. Tuttavia nessuno avrebbe potuto rimproverare i propri compatrioti per le loro mancanze più severamente di quanto fece Gandhi quando scrisse: “Attraverso ogni atto di crudeltà verso il nostro bestiame noi rinneghiamo Dio e l’Induismo. Non mi risulta che la condizione del bestiame in nessuna altra parte del mondo sia così terribile come nell’infelice India!”. Verso la fine della sua vita ribadì l’accusa nel Delhi Diary: “Il nostro bestiame è diventato un peso sul territorio per la nostra incuria. Criticare i Mussulmani per la macellazione delle mucche è una grossolana ignoranza. Io sostengo che sono gli Induisti che uccidono il bestiame lentamente conil loro maltrattamento”. Per contro Gandhi stesso divenne il bersaglio dell’ira degli Induisti in due occasioni. Nel 1926 il suo amico Ambadal Sarabhai, il proprietario del cotonificio di Ahmedabad, suscitò una forte collera quando ordinò l’uccisione dei cani randagi e malati di rabbia che vagabondavano nella regione. Gandhi lo difese sulle colonne di Young India, dove consentì che tutta la questione fosse ampiamente discussae citò le centinaia di casi di idrofobia curati nel locale ospedale. L’ignoranza continuava ad impedire che l’umanità vivesse in pace con gli altri animali: “Nella nostra ignoranza abbiamo il dovere di uccidere i cani malati di rabbia proprio come potremmo dover uccidere un uomo colto nel’atto di uccidere altre persone”. Due anni dopo Gandhi si espose di nuovo alle critiche: un vitello era malato senza alcuna speranza di guarigione ed egli approvò che si ponesse intenzionalmente fine alle sue sofferenze. Il comandamento dell’ahimsa (non-violenza) influenzò tutte le attività di Gandhi: “Completa non-violenza significa completa mancanza di ostilità verso tutte le forme di vita. Pertanto abbraccia anche la vita sub-umana, senza escludere gli insetti nocivi o le bestie. La non-violenza nella sua forma attiva significa perciò empatia verso tutte le forme di vita”. Questo è il tratto della vita di Gandhi che piacque particolarmente a Albert Schweitzer. Nel suo libro l pensiero indiano e il suo sviluppo Schweitzer pose in relazione il pensiero indiano con la distinzione generale che cercò di evidenziare in Civiltà e Etica tra le impostazioni etiche che affermavano il valore della vita e cercavano di conservarla e di arricchirla, e quelle che negavano significato e valore al mondo e quindi non si proponevano di migliorarlo. A suo avviso l’impostazione della negazione del mondo e della vita era tipico pensiero indiano. Gandhi era un’eccezione: “In questo modo nell’affermazione della vita etica propria di Gandhi l’ahimsa (non-violenza) si libera dal principio di non-attività da cui origina e diventa un imperativo di esercitare piena compassione”. R. F. Summers
Riferimenti bibliografici:
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Traduzione italiana di Andrea Argenton |